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COVID19, la situazione all’AOU di Modena

39 ricoveri al Policlinico, di cui 10 in Terapia Intensiva. L'età media dei ricoverati è di circa 63 anni. Il 73% dei ricoverati non è vaccinato. Il 90% dei ricoverati in terapia intensiva non è vaccinato. La parola alle Malattie infettive

Erica Franceschini
Erica Franceschini

Continua l’appuntamento consueto con il bollettino settimanale contenente le principali attività organizzative e sanitarie dell’Azienda Ospedaliero – Universitaria di Modena in riferimento alla gestione dell’emergenza COVID-19.

Situazione ricoveri
Sono 39 i pazienti con tampone positivo ricoverati in Azienda Ospedaliero - Universitaria, 10 dei quali in terapia intensiva, tutti al Policlinico. Tra questi, 34 pazienti sono ricoverati per le conseguenze del Covid-19, mentre i restanti 5 sono assistiti per altre patologie, con riscontro occasionale di tampone positivo.
 
Attualmente il 73% degli assistiti per COVID-19 presso l’Azienda Ospedaliero – Universitaria di Modena non è vaccinato, dato che sale al 90% (9 su 10) per i ricoverati in Terapia Intensiva (1 su 12). Interessante notare che dei 20 pazienti con meno di 65 anni, nessuno risulta aver completo il ciclo vaccinale e un altro paziente ha effettuato solo una delle due dosi.
 
L’età media dei pazienti ricoverati attualmente per le conseguenze del COVID-19 è 63 anni. L’età dei pazienti ricoverati col ciclo vaccinale completo è 68 anni in linea con le precedenti rilevazioni.

In terapia intensiva, l’unico paziente vaccinato ha 71anni e ha una condizione preesistente di fragilità, la media di età dei non vaccinati è 57 anni. Questi dati confermano l’efficacia del vaccino anche nei confronti della variante Delta, pur nella diversa risposta immunitaria tra persone con condizioni cliniche diverse.
 
La parola alle Malattie Infettive. Dottoressa Erica Franceschini, infettivologa del Policlinico
 
Dottoressa, lo scorso anno, in estate, gli ospedali erano praticamente vuoti, oggi invece la situazione è ben diversa. Vuol dire che i vaccini non funzionano?
 
No, anzi, i dati dimostrano che il vaccino funziona. Mi spiego meglio. Nel 2020 le riaperture avvennero a partire da giugno quando l’incidenza dell’infezione da SaarsCov-2 era praticamente azzerata dopo un lockdown duro e totale. Nel 2021, invece, abbiamo riaperto a maggio, dopo una serie di chiusure solo parziali, volte non ad azzerare i contagi ma a permettere agli ospedali di riuscire a curare le persone in modo adeguato. Inoltre, le restrizioni mantenute durante questa estate sono nettamente inferiori rispetto a quelle mantenute nel 2020. Per questo motivo, noi ci aspettavamo un incremento dei contagi in questo periodo, aggravato anche dalla maggior infettività della variante Delta. Grazie ai  vaccini, però, gli ospedali non sono al momento sotto stress, perché – dati alla mano – è provato che nella stragrande maggioranza dei vaccinati, il virus non provoca la forma grave della malattia. È vero, infatti, che i ricoveri sono risaliti molto tra la fine di luglio e i primi di agosto in percentuale, ma è anche vero che in seguito sono rimasti abbastanza stabili nonostante l’aumento dei contagi. È questo il risultato dei vaccini e per questo credo sia giusto insistere ancora una volta sulla necessità di vaccinarsi, per tutelare sé stessi e gli altri.
 
Rispetto alle ondate precedenti quali sono le caratteristiche dei pazienti che state vedendo
 
Noi ricoveriamo pazienti con polmonite da SaarsCov-2 con forme medio-gravi, che necessitano di ossigenoterapia. In questo momento i nostri pazienti sono per la maggior parte under 65 non vaccinati, e le loro caratteristiche cliniche sono del tutto sovrapponibili a quelle osservate nelle ondate precedenti.
 
Questi pazienti hanno altre patologie?
 
Abbiamo ovviamente pazienti molto diversi fra loro, alcuni con copatologie note, altri con anamnesi muta cioè senza copatologie note prima del ricovero. Quello che stiamo osservando però è che la maggior parte dei pazienti che vengono ricoverati con un’anamnesi muta sono in realtà pazienti in cui già al ricovero diagnostichiamo diverse  copatologie trascurate negli anni precedenti quali ipertensione arteriosa, diabete, obesità e cardiopatie. 
 
Dal punto di vista delle terapie cosa è cambiato?
 
Nel tempo abbiamo imparato molto sul virus. Già dall’ultima ondata sappiamo che all’insorgenza dell’insufficienza respiratoria sono efficaci gli steroidi, come il desametasone e in caso di ulteriore peggioramento somministriamo il
tocilizumab, un anticorpo anti-interleukina 6 che serve a limitare la reazione autoimmune dell’organismo. In questi giorni, inoltre, AIFA ha autorizzato l’uso degli anticorpi monoclonali anche in alcuni pazienti ospedalizzati che sono
quelli che hanno necessità di ossigeno, che non hanno ancora sviluppato gli anticorpi anti spike. È importante dire che la ricerca non si ferma e continuiamo a imparare giorno per giorno qualcosa di nuovo. Non è un risultato scontato visto che il virus è apparso poco più che un anno fa.
 
Cosa si sente di dire ai pazienti non vaccinati
 
A mio avviso è importante ricordare che, a fronte di una percentuale tutto sommato piccola di pazienti che non si vaccinano perché contrari al vaccino in quanto tale, la maggior parte delle persone non si vaccina per timore.
Sono convinta che una corretta informazione effettuata dal personale sanitario, portata avanti con pazienza e investendo il giusto tempo, possa essere in grado di convincere cittadini che sono soprattutto vittime di informazioni sbagliate. Oggi viviamo in una situazione in cui circolano troppe informazioni contraddittorie che finiscono per confondere chi non ha la possibilità di approfondirle o comprenderle a pieno. Su queste persone e su questo flusso di informazioni occorre lavorare, non solo per i vaccini ma più in generale per tutte le misure di contenimento della pandemia.

 
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