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COVID19, la situazione all'AOU di Modena

326 ricoveri negli ospedali modenesi, 82 tra terapia intensiva e semi-intensiva. La "Variante inglese" è ormai maggioritaria (77 campioni 99 raccolti in terapia intensiva dal 10 marzo). La parola al PS del Policlinico e all'esperto di malattie della coagulazione

Situazione ricoveri 
Nell'ultima settimana l'andamento dei riscontri di nuovi casi positivi nella provincia ha avuto un calo rispetto al picco registrato precedentemente. Per quanto riguarda i ricoveri, l'aggiornamento odierno vede 326 ricoverati con tampone positivo. Di questi, 244 sono in degenza ordinaria, di cui 160 al Policlinico e 84 all'Ospedale Civile di Baggiovara. I ricoveri tra Terapia Intensiva e Semi Intensiva sono invece 82,di cui 46 al Policlinico e 36 all'Ospedale Civile. Il numero di ricoverati si mantiene comunque elevato, in particolare nel setting di area critica: per tale motivo è ancora mantenuta la sospensione dei ricoveri programmati in area internistica e chirurgica, sempre garantendo la gestione delle emergenze-urgenze.    
Rispetto all'andamento degli ingressi di pazienti positivi della settimana precedente, che aveva visto una media di 30 ingressi giornalieri sui due ospedali, negli ultimi 7 giorni si è passati ad una media di 25 pazienti al giorno, mentre i pazienti in uscita si attestano sui 27 ogni giorno. Questo anche grazie alla collaborazione con la rete provinciale, che ha permesso di poter rendere disponibili posti letto presso gli Hub per la gestione dei pazienti con quadri clinici più critici anche nei momenti di picco epidemico.
Varianti circolanti sul territorio provinciale (dato aggiornato al 24.03.2021)
Dal 10 marzo a oggi , in base alle indicazioni regionali sullo screening con test REAL TIME PCR per la ricerca di varianti su pazienti positivi a SARS-CoV-2, sono stati valutati 99 tamponi positivi tra i pazienti ricoverati nelle terapie intensive del Policlinico, Baggiovara e Ospedale di Carpi. Tra questi, 77 tamponi hanno presentato mutazioni del virus compatibili con variante inglese, 18 compatibili con variante brasiliana mentre rimangono stabili a 1 i tamponi con mutazioni compatibili a variante nigeriana e 3 senza mutazioni ascrivibili alle suddette varianti. Il programma di monitoraggio a livello regionale sulla diffusione varianti ha previsto, per il mese di marzo, l'invio di 16 tamponi positivi al laboratorio di riferimento regionale (IZSLER di Parma) per essere sottoposti all'analisi di sequenziamento genomico. Siamo in attesa dei risultati previsto per la prossima settimana. È tuttora in corso il nuovo studio di prevalenza nazionale sulle varianti promosso dall'ISS. L'iniziale processazione dei 28 tamponi a livello locale per la determinazione delle mutazioni caratteristiche delle varianti note ha fornito i seguenti risultati: 24 variante UK (86%) e 4 varianti brasiliana (14%). Anche di questo studio siamo in attesa di conferma dei dati mediante sequenziamento del genoma da parte dell'IZSLER di Parma. Vogliamo ricordare che, come per gli studi precedenti, i 28 tamponi scelti a caso tra tutti quelli risultati positivi il giorno 18 marzo, sono in numero proporzionale agli abitanti della provincia di Modena.

Giuseppe Pezzuto
Giuseppe Pezzuto

La parola al dottor Giuseppe Pezzuto, Direttore f.f. del PS del Policlinico
Rispetto alla prima ondata, i pazienti che stiamo vedendo in questo periodo in Pronto Soccorso sono più giovani. Due giorni fa ad esempio, su 17 pazienti, solo 2 avevano più di 80 anni, 7 ne avevano tra 54 e 59 e l'età media, quindi era circa 60 anni, in linea col complessivo abbassamento dell'età media dei contagiati e dei ricoverati.     Rispetto alla prima ondata, la macchina organizzativa è più rodata e può contare su un meccanismo di assistenza a domicilio dei pazienti sintomatici grazie alla quale arrivano in ospedale soprattutto pazienti per i quali il quadro clinico è più severo. Questo sistema si basa sul controllo da parte dei Medici di medicina Generale, che possono inviare le USCA - Unità Speciali di Continuità Assistenziale - che visitano i pazienti in casa, possono eseguire addirittura ecografie e sino in contatto con gli ospedali per valutare l'opportunità di un invio al pronto Soccorso per accertamenti ed eventuale ricovero. I criteri clinici che consigliano un approfondimento diagnostico e terapeutico in ospedale sono la difficoltà respiratoria (sia il numero di respiri al minuto, sia la fatica a respirare), l'alterazione dello stato di coscienza, aritmie (cioè il battito del cuore irregolare), la febbre alta e la cefalea per più di 7-10 giorni.
Gli accessi al Pronto Soccorso sono ancora abbastanza elevati. Pensate che abbiamo avuto anche picchi di 60 ambulanze al giorno, non tutte per pazienti COVID, però un numero di certo impressionante rispetto ai nostri volumi precedenti alla pandemia. Questo avviene, da un lato perché le ambulanze sono impegnate, oltre che per le urgenze, anche nel trasporto di pazienti COVID per controlli e per dimissioni. Rispetto alla prima ondata, inoltre, le urgenze non-covid non hanno subito la sostanziale diminuzione che c'era stata a marzo-aprile del 2020. Questo avviene perché adesso non c'è un blocco completo, quindi vi possono essere incidenti stradali, infortuni sul lavoro ecc.    
Rispetto alla prima ondata c'è una riduzione dei pazienti che arrivano al PS per ansia e paura di essersi contagiati. Sebbene il numero complessivo degli accessi sia inferiore rispetto a quanto non avvenisse prima della pandemia, per la riduzione soprattutto di codici verdi e bianchi, vediamo pazienti mediamente più gravi, anche tra i pazienti non COVID. Non solo traumi, malori e altre patologie che di solito associamo al Pronto Soccorso, ma anche per patologie croniche che necessitano di ricovero e di degenza più prolungati.    
Per dare un'idea dei numeri, ricoveriamo da PS dai 15 ai 20 pazienti Covid al giorno, circa il 50% dei pazienti con COVID che vediamo; c'è poi una fetta di questi pazienti che hanno sintomi compatibili ma poi non viene confermata la diagnosi di COVID19.

 
Marco Marietta
Marco Marietta

La parola al dottor Marco Marietta, Ematologo ed esperto delle malattie della coagulazione del Policlinico
Il Covid-19 è una patologia complessa e ancora in parte poco conosciuta. Abbiamo, però, raccolto ormai un buon numero di dati. Esistono studi pubblicati sui postumi a lungo termine della patologia, soprattutto effettuati sui pazienti di Bergamo. Questi studi dimostrano che a distanza da 3 mesi circa dalla guarigione, molti pazienti presentano ancora sintomi importanti, tra cui segni di attivazione della coagulazione come conseguenza dall’infiammazione. Questo non significa che i pazienti guariti debbano assumere solo per questo farmaci anticoagulanti, ma dovremo affrontare (e in parte lo stiamo già facendo) con ambulatori dedicati, le fasi successive alla guarigione e gli effetti di lungo termine.
I pazienti con patologie oncologiche del sangue (leucemie, linfomi e mielomi) nel caso si ammalino di COVID-19 hanno un alto rischio di avere forme gravi e, purtroppo, anche di avere una prognosi infausta. Invece i pazienti con patologie ematologiche non oncologiche, come ad esempio anemie, difetti della coagulazione o con livelli ridotti di piastrine, per quanto ne sappiamo oggi, non hanno fattori di rischio maggiori degli altri pazienti.
Per questo motivo è fondamentale la vaccinazione per i pazienti con patologie oncologiche del sangue. Le indicazioni di AIFA e Istituto Superiore di Sanità relative all’uso preferenziale di alcuni tipi di vaccini in soggetti fragili servono a garantire loro la massima efficacia protettiva – in base agli studi effettuati –, e non sono valutazioni di sicurezza, in quanto tutti vaccini approvati sono sicuri.
A Modena non abbiamo avuto casi di trombosi o embolia venosa associabili alla somministrazione di AstraZeneca. Dobbiamo imparare a leggere i dati riportati sugli eventi avversi come un elemento positivo e non negativo: la loro segnalazione puntuale significa che il sistema di vaccino-vigilanza è attivo e funziona. Questo sistema non ha evidenziato una correlazione fisiopatologica tra somministrazione del vaccino e complicanze.
Il tema del Covid-19 e delle trombolisi, venose ma non solo, è importante. Questa complicanza viene riscontrata intorno al 5% nei pazienti ricoverati in degenza ordinaria, ed in un quarto circa di quelli ricoverati in terapia intensiva, spesso nonostante una corretta profilassi con farmaci antitrombotici.
Questa evidenza è importante anche quando facciamo una valutazione rischi-benefici relativa ai vaccini: abbiamo timore per pochi eventi trombotici non necessariamente associati al vaccino e ci dimentichiamo la presenza di un rischio più alto se si contrae il virus. Abbiamo imparato ad essere più attenti nella prevenzione di questi eventi tramite una profilassi con l’uso precoce di eparina, e questo ha circa dimezzato l’incidenza delle complicanze.
Vi sono ancora discussioni sui dosaggi ottimali di eparina da utilizzare in base alla gravita del caso clinico. A questo proposito vi sono diversi studi attivi, uno anche qui in AOU di Modena, che analizzano questo problema. L’Organizzazione Mondiale della sanità riunirà i risultati di questi studi per valutare i dosaggi più indicati in base alle caratteristiche dei pazienti.

 
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