Il dottor Vanni Borghi, infettivologo, è uno dei tre medici “riservisti”, che sono tornati in servizio in maniera volontaria e gratuita per aiutare i propri colleghi a gestire l’emergenza COVID19.
Il dottor Borghi è in pensione dal 1° gennaio del 2020 ma nei giorni scorsi è tornato in servizio.
Dottor Borghi, lei è da poco andato in pensione. Era destino che non durasse molto
Quando si lavora con una grande squadra devi partecipare e non mollare, soprattutto in un momento di crisi. Sebbene non mancassi da molto, ho trovato un ambiente trasformato dalla malattia, dove l’organizzazione ha dovuto adattarsi a questa nuova realtà. Io mi sto occupando della logistica, dell’organizzazione, della clinica, insomma di tutti gli aspetti.
Ho trovato una grande squadra. Infettivologi, pneumologi, chirurghi. Abbiamo creato un’equipe che lavora fianco a fianco senza paura, collaborando appieno. Di certo in una situazione del genere si creano legami profondi.
La sua prima impressione
Vi sono due aspetti davvero toccanti. Il primo è quello dei pazienti, che vivono una situazione difficile non solo la loro condizione clinica, ma anche psicologica, visto che questa patologia fa paura e ti isola dai tuoi affetti. L’altro aspetto, infatti, è quello delle famiglie separate dalla malattia, senza la possibilità di andare fisicamente in ospedale a trovare i propri cari ricoverati.
Un suo desiderio
Vorrei riuscire a lavorare a favore dei pazienti che seguiamo normalmente, in particolare quelli con epatite C e HIV (quasi 1500) che in questo momento soffrono il fatto che la struttura è tutta concentrata sul COVI19. Stiamo introducendo una serie di azioni per riprendere, anche se a ritmo ridotto, le normali attività ambulatoriali per le persone con infezione da HIV che devono eseguire gli esami e controllare le terapie.