Le insufficienze midollari congenite e l’anemia aplastica acquisita, rare e gravi malattie del sangue, sono protagoniste dell’incontro organizzato martedì 19 settembre a partire dalle 13:30 dalla Struttura Complessa di Ematologia dell’Azienda Ospedaliero-Universitaria di Modena, diretta dal prof. Mario Luppi, e dalla Struttura Complessa di Pediatria ad Indirizzo Oncoematologico, diretta dal prof. Lorenzo Iughetti. L’incontro si svolge nell’aula P02del Centro Didattico Interdipartimentale della Facoltà di Medicina e Chirurgia, presso il Policlinico di Modena (via del Pozzo 71) e ha lo scopo di fare il punto sulle nuove acquisizioni biologiche, derivate dalla ricerca di laboratorio, e dagli studi clinici più moderni che consentono, oggi, di curare al meglio queste malattie. Questo rappresenta il quinto incontro di confronto tra la l’Oncoematologia pediatrica e l’Ematologia dell’AOU di Modena, e prevede - come abitudine - l’intervento della dott.ssa Patrizia Comoli, Direttore della Struttura “Cell Factory e Centro di Ricerche di Medicina Rigenerativa”, Onco-ematologia Pediatrica, IRCCS Fondazione Policlinico San Matteo Pavia, con lunga esperienza anche nell’applicazione del trapianto di midollo osseo alla cura di tali malattie.
"L’anemia aplastica acquisita (AA) – spiega il prof. Mario Luppi – si può definire come una malattia autoimmune che risulta dalla aggressione da parte di linfociti T delle cellule emopoietiche normali staminali, normalmente deputate, nel midollo osseo, alla produzione delle cellule normali del sangue periferico, cioè i globuli bianchi, i globuli rossi e le piastrine. I pazienti affetti da AA presentano forme più o meno severe, a seconda della entità della riduzione del numero di cellule normali circolanti, e devono ricevere una diagnosi di laboratorio e clinica tempestiva ed accurata”.
La AA è una malattia rara, con una incidenza di circa 2 casi/milione di persone/anno nei paesi Occidentali, e con una particolare distribuzione geografica, essendo circa 2-3 volte più frequente in Asia. La AA è una malattia del giovane: esistono due picchi di incidenza, il primo tra i 15 e 25 anni, ed il secondo oltre i 60 anni. La terapia si basa sulla somministrazione di farmaci immunosoppressori, cioè la globulina anti-linfocitaria, la ciclosporina e il cortisone, che permettono di ottenere risposte cliniche complete in una elevata percentuali di casi, in particolare tra i pazienti più giovani. Nei pazienti di età inferiore a 40 anni, con forme cliniche severe, la terapia standard di prima linea si basa sul trapianto di midollo osseo, da donatori HLA identici “Nella nostra Ematologia, abbiamo attualmente in cura circa 15 casi di AA. La terapia trasfusiva e di supporto, di profilassi anti-infettiva o di terapia anti-infettiva sono una parte oggi fondamentale per garantire una efficacia clinica nel trattamento complessivo di questi pazienti.” aggiunge il prof Mario Luppi.
“Le insufficienze midollari congenite rappresentano un gruppo eterogeneo di malattie genetiche, usualmente congenite, in cui il midollo osseo non produce un normale numero di cellule del sangue -precisa il prof. Lorenzo Iughetti-ma, talvolta , il difetto può essere anche qualitativo. Tali malattie sono generalmente associate a malformazioni somatiche, e presentano una tendenza intrinseca a sviluppare neoplasie ematologiche e solide”.
“La diagnosi e la cura di queste malattie rare è possibile grazie ad un lavoro in rete tra i laboratori e le equipe cliniche dei centri dell’AIEOP, – aggiungeil dott.Giovanni Palazzi dell’Oncoematologia Pediatrica – Anche per queste malattie, come ad esempio l’anemia di Fanconi, il trapianto di midollo osseo è raccomandato nei pazienti con forme severe di citopenia o per la presenza di alterazioni genetiche molecolari specifiche”.
“Va tuttavia ricordato che sono in corso studi rivolti a migliorare il trattamento dei pazienti con AA, che risultano refrattari alla terapia immunosoppressivi, o che ricadono. L’offerta di un differente regime terapeutico con farmaci immunosoppressivi, o il trapianto di midollo osseo o l’offerta di un farmaco, l’eltrombopag, con un meccanismo d’azione innovativo, – conclude Luppi – rappresentano già uno standard di terapia. Soprattutto tra i soggetti anziani, esiste una piccola parte di pazienti che, per fragilità e patologie associate, non risulta compatibile a trattamenti intensivi, per i quali vale solo la terapia immunosoppressiva ad intensità ridotta o la sola terapia di supporto, che non hanno lo scopo di ottenere la remissione completa e duratura dell’emopatia o un allungamento significativo della sopravvivenza, ma unicamente un miglioramento della qualità della vita”.